Il TAR Toscana in due recenti sentenze (sez. I, 28 dicembre 2016, n. 1872 e 1874) ha stabilito interessanti principi in tema di perequazione urbanistica e di nuove tecniche di pianificazione legate ad esigenze di riqualificazione di ambiti urbani generalmente degradati o dismessi, qualificate dai giudici “paraperequative”. In particolare, pronunciandosi su due questioni relative al nuovo Regolamento urbanistico del Comune di Firenze – approvato nel 2015 e incentrato su obiettivi di riduzione del consumo di suolo e di rigenerazione del patrimonio edilizio esistente – ha precisato che:
- non è possibile imporre alla proprietà privata limitazioni o oneri sostanzialmente espropriativi senza dichiarare formalmente la volontà di espropriare ovvero senza prefigurare in alternativa una ragionevole soluzione perequativa. L’amministrazione deve scegliere una delle due vie (espropriazione o perequazione) e percorrerla coerentemente (sentenza 1872/2016);
- per essere legittime le operazioni cd. paraperequative (ma più spesso denominate “compensative”) – ossia prescrizioni innovative del piano urbanistico tra cui rientrano quelle che prevedono la possibilità o l’obbligo per i proprietari di aree/immobili, spesso degradati o dismessi, di trasferire la volumetria esistente su altre aree del territorio comunale a fronte della loro cessione gratuita al Comune dell’area – devono essere caratterizzate da praticabilità e sostenibilità economica (sentenza 1874/2016).
In particolare la sentenza n. 1872/2016 ha ad oggetto una prescrizione del Regolamento urbanistico di Firenze che prevedeva il recupero di un compendio immobiliare (costituito da tre edifici a destinazione ex-industriale) mediante piano attuativo, nel quale però la superficie utile lorda recuperabile risultava dimezzata rispetto a quella esistente e venivano addossati alla proprietà privata una serie ingente di oneri: bonifica dell’area, demolizione dei fabbricati industriali, realizzazione di numerose opere di urbanizzazione, molte delle quali non funzionali all’insediamento da riqualificare, ma volte a soddisfare esigenze generali e pregresse. Il TAR ha dichiarato l’illegittimità di tale previsione urbanistica per irragionevolezza basata sulla sproporzione tra il valore delle trasformazioni consentite ai privati e quello dei benefici derivanti al Comune. La prescrizione urbanistica oggetto della sentenza n. 1874/2016 riguardava, invece, la riqualificazione, mediante piano attuativo, di un complesso immobiliare composto da edifici ex-direzionali e magazzini ricadenti in fascia di rispetto ferroviaria, classificato come ambito degradato e pertanto soggetto a trasformazione mediante:
- demolizione dei manufatti dismessi;
- bonifica del sito;
- trasferimento della superficie utile lorda su una delle aree cd. di atterraggio, individuate dal Regolamento urbanistico stesso e ricomprese nel territorio comunale, con incremento della superficie edificabile del 10% nel caso la nuova superficie avesse destinazione diversa da quella originaria, ovvero del 30% in caso di mantenimento della destinazione originaria;
- cessione gratuita dell’area al Comune.
Qualora il proprietario non fosse stato interessato alla trasformazione, la Norma Tecnica di Attuazione autorizzava solo interventi di manutenzione, il restauro e risanamento conservativo. Anche in questo caso la previsione è stata dichiarata illegittima perché contrastante con i principi guida dello stesso Regolamento Urbanistico (riduzione consumo del suolo, riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, perequazione). In particolare, tale disposizione, da un lato, risulta complessa, aleatoria e onerosa e, dall’altro, genera una notevole difformità di trattamento rispetto ai proprietari di aree soggette a trasformazione ma senza obbligo di spostare la volumetria e mettere in atto il meccanismo “paraperequativo” sopra descritto.